Malattia di Alzheimer: nuova scoperta da Unimore
Identificato un possibile fattore protettivo sulla progressione di questa patologia
Nuova scoperta biomedica sulla malattia di Alzheimer firmata da una giovane ricercatrice di Unimore.
Un nuovo passo in avanti nella ricerca sulla malattia di Alzheimer
REGGIO EMILIA - Nella lotta contro la malattia di Alzheimer nuovo importante studio firmato da una giovane ricercatrice di Unimore, la dott.ssa Antonietta Vilella, e ha come senior author la prof.ssa Daniela Giuliani, che assieme a colleghi dell’Università di Modena e Reggio Emilia, dell’Università di Parma e di Padova hanno identificato un possibile fattore protettivo sulla progressione di questa patologia tipica dell’anziano.
Nuovi bersagli per la terapia
Lo studio, dal titolo “PCSK9 ablation attenuates Aβ pathology, neuroinflammation and cognitive dysfunctions in 5XFAD mice” e pubblicato sulla rivista “Brain, Behavior, and Immunity”, ricerca nuovi bersagli per la terapia della malattia di Alzheimer (AD) e punta l’attenzione sul silenziamento dell’enzima PCSK9 che interviene sul metabolismo del colesterolo. Questo intervento ha chiari effetti protettivi sulla progressione sia della neuropatologia sia dei deficit cognitivi in un modello animale malato di Alzheimer. PCSK9 è quindi un bersaglio di notevole interesse per le terapie “disease modifying” di questa malattia.
I geni coinvolti nel metabolismo lipidico
“L’associazione tra alterazioni lipidiche e AD – spiega la dott.ssa Antonietta Vilella di Unimore - è avvalorata da diverse ricerche e studi clinici che dimostrano come i geni coinvolti nel metabolismo lipidico siano tra i più importanti fattori di rischio per l’insorgenza e lo sviluppo della malattia. Tra i lipidi, il colesterolo svolge un ruolo importante nel Sistema Nervoso Centrale, essenziale per il mantenimento delle funzioni neuronali e gliali, e alterazioni nel suo metabolismo causano stress ossidativo, neuroinfiammazione, alterazioni sinaptiche e neuronali accompagnate da declino cognitivo. In questo contesto, il passaggio da associazioni epidemiologiche a meccanismi fisiopatologici definiti, come l’inibizione dell’enzima PCSK9, è cruciale per identificare bersagli specifici per possibili interventi terapeutici”
“I risultati di questo studio - aggiunge la Prof.ssa Daniela Giuliani - pongono le premesse scientifiche per ulteriori ricerche in ambito farmacologico, come la caratterizzazione e lo sviluppo di piccole molecole con attività inibitoria su PCSK9. Un progetto su questa tematica proposto dal nostro gruppo a UniMORE in collaborazione con ricercatori di UniPR è stato giudicato meritevole di un finanziamento PRIN2022, partito a ottobre 2023.
Una terapia costosa
“L’FDA americana, anche se non ancora l’EMA europea, - afferma il prof. Michele Zoli Direttore del Dipartimento di Scienze Biomediche, Metaboliche e Neuroscienze di Unimore al quale le due ricercatrici afferiscono - ha approvato la prima terapia basata su anticorpi monoclonali che ritarda la progressione dell’AD. Questa terapia è molto costosa e gli effetti, per quanto incoraggianti, sembrano essere limitati. La ricerca di nuovi bersagli terapeutici per l’AD rimane quindi uno degli obiettivi più rilevanti della ricerca biomedica sulle malattie neurodegenerative dell’anziano”.
“Oltre alla rilevanza del risultato, vorrei sottolineare, - conclude il prof. Michele Zoli di Unimore - che primo nome dell'articolo è una giovane ricercatrice del nostro Ateneo, la dott.ssa Antonietta Vilella, già RTDa per 5 anni ed entrata in ruolo come RTDb in Fisiologia presso il Dipartimento di Scienze Biomediche, Metaboliche e Neuroscienze nel mese di ottobre di quest’anno”.
Una ricerca a più livelli
“La malattia di Alzheimer - prosegue la dott.ssa Antonietta Vilella di Unimore - va delineandosi come una delle sfide centrali per la sanità, ed in generale per l’intera società, dei paesi industrializzati dove l’aspettativa di vita ha superato gli 80 anni. La risposta della ricerca biomedica deve avvenire a diversi livelli, partendo dall’identificazione di biomarcatori che permettano una diagnosi precoce prima dell’instaurarsi di danni cerebrali irreversibili fino allo sviluppo di terapie che ritardino o blocchino la progressione della malattia. Non è facile prevedere quali ipotesi terapeutiche si dimostreranno efficaci e sicure e quando diverranno disponibili. Approcci farmacologici classici e collaudati come quelli che stiamo indagando potrebbero portare a identificare molecole attive pronte per la sperimentazione clinica in tempi piuttosto rapidi”.